Una stoccata all’ingiustizia

Andrea Baldini 620697i ATTENZIONE COPYRIGHTIntervista allo schermidore Andrea Baldini, scagionato da un controverso caso di doping.

Andrea Baldini è stato scagionato un anno fa da un controverso caso di doping che gli ha impedito di partecipare alle Olimpiadi di Pechino del 2008. Lo incontriamo a Livorno per farci raccontare la sua storia. Andrea sorride spesso, anche se ripercorrendo i difficili mesi che ha vissuto a seguito di quella vicenda in alcuni momenti il sorriso diventa amaro.

E non può essere diversamente ripensando a quello che gli è stato privato, alle ingiuste accuse da cui si è dovuto difendere …
Alla fine però Andrea ci insegna come anche da una brutta storia si possono prendere dei lati positivi. Ci insegna come determinati ostacoli, pur segnando profondamente il nostro carattere, possono addirittura migliorarci, come persone e non solo. Come è successo a lui, che appena tornato alle gare si è laureato in poco tempo campione europeo e mondiale nel fioretto individuale e a squadre.

Andrea, per cominciare puoi dirci come hai cominciato a gareggiare, come è nata la passione per la scherma?

Ho iniziato a 5 anni e mezzo. In famiglia nessuno prima aveva praticato questo sport, è stata mia nonna da parte di mamma che ha avuto questa felice intuizione vedendomi giocare con le spade. Visto che a Livorno c’è una buonissima scuola di scherma io e mio fratello siamo andati a provare, ma i primi anni tutti i miei amici giocavano a calcio a e me piaceva stare anche con loro. Così per un poco ho fatto tutte e due le cose. Alla fine però i miei mi hanno convinto che dovevo scegliere uno sport e alla fine ho scelto la scherma.

Cosa serve per emergere in questo sport? E quali sono i tuoi punti di forza?

Diciamo che in generale servono le stesse qualità che servono in tutti gli altri sport: credere in se stessi, allenarsi duramente, avere un obiettivo e perseguirlo sempre. Più in particolare penso che una delle mie doti principali sia quella di possedere un ottimo tempo schermistico, ovvero la distanza da tenere in pedana rispetto all’avversario, che poi è una dote che mi viene abbastanza naturale: tutto si può allenare, ma ci sono certamente cose che sono più istintive. Questa è sicuramente una caratteristica che mi avvantaggia, ma il bello del mio sport è che ci sono tanti fortissimi schermidori che hanno caratteristiche completamente diverse: c’è chi è più irruento, chi più potente, chi è più bravo in difesa. Insomma, è uno sport complesso, anche se per i non addetti ai lavori può sembrare abbastanza semplice. Un altro aspetto importante è quello mentale. Ci sono tanti schermidori bravissimi in allenamento che poi durante la gara rendono di meno. Questo in generale vale per tutti gli sport, ma ti assicuro che nella scherma l’aspetto mentale fa davvero la differenza.

Uno sport soggetto anche alle decisioni dei giudici. Spesso in pedana si vedono accese proteste per le interpretazioni date alle singole stoccate.

In pedana al 99% gli atleti sanno entrambi benissimo come è andata una stoccata. Poi può succedere che preso dall’agonismo a volte vuoi, pensi, pretendi di aver ragione. Magari lì per lì te la prendi anche con l’arbitro, ma una volta terminato l’incontro, a freddo, uno schermidore tende a non dare le colpe ad un arbitraggio quanto piuttosto a cercare in se stesso la colpa di una sconfitta o i meriti di un successo.

A te è capitato in qualche occasione di “soffrire” particolarmente qualche episodio del genere?

C’è stato un episodio particolare ad un Mondiale Under 20 nel 2004 dove io ho perso 15-14 con un ragazzo cinese. In quell’incontro l’arbitro, nei momenti cruciali dell’assalto, mi ha dato due cartellini rossi per una lama che era un poco storta. E’ vero, a termini di regolamento ci può stare, ma dal momento che poi io quella lama la rimettevo subito a posto, è stato un eccesso ingiustificato. Comunque, a parte qualche particolare episodio, diciamo che in generale l’arbitro sbaglia un poco a favore ed un poco a sfavore.

Torniamo alle gare. Dopo aver gareggiato tra i cadetti (under 17) e tra i junior (under 20), già dalle prime prove disputate nel circuito senior hai ottenuto risultati importanti. In particolare spiccano le due medaglie d’argento individuali conquistate ai mondiali del 2006 e del 2007 che ti hanno portato ai vertici del fioretto mondiale. Cosa ricordi di quel periodo?

Il passaggio tra i senior si fa sentire. Rispetto alle gare giovanili avverti che c’è un’organizzazione molto più professionale e ti rendi conto che prima le gare erano poco più di un gioco. Il primo risultato importante è stato ai mondiali di Torino del 2006. Durante quella stagione avevo già avuto dei buoni piazzamenti in coppa del mondo, ma certamente non arrivavo al mondiale come uno dei grandi favoriti. Alla fine ho ottenuto un buon secondo posto, anche se poi è rimasto un po’ il rammarico di aver perso la finale per una sola stoccata. I mondiali di San Pietroburgo del 2007 li ho vissuti invece in maniera diversa. Intanto perché nel frattempo avevo vinto diverse gare, e poi perché quel mondiale faceva parte della qualificazione olimpica, e quindi l’ho affrontato come una gara non tanto fine a se stessa ma finalizzata ad ottenere i punti necessari per arrivare a qualificarmi a Pechino. Con quel secondo posto ormai avevo la quasi certezza di arrivare in Cina, certezza che è poi arrivata matematicamente con l’inizio dell’anno successivo vincendo la gara di coppa del mondo disputata a Parigi.

Già, l’Olimpiade. Tutti ti indicavano come uno dei grandi favoriti per Pechino.

I successi che avevo raggiunto sino a quel momento erano stati dei gradini da superare per arrivare a quella che poteva essere l’Olimpiade del 2008. Perché nella scherma, per quanto un mondiale possa essere importante, i Giochi olimpici sono una cosa che vale molto di più. Già dalle categorie giovanili il mio sogno è sempre stato quello di poter un giorno partecipare alle Olimpiadi, e finalmente quel sogno si stava per realizzare. Invece …

Invece pochi giorni prima della partenza per la Cina succede l’inimmaginabile.

Era la sera del 31 luglio. Stavo cenando con il mio allenatore quando mi è giunta una telefonata che in pochi istanti ha fatto svanire tutto ciò che avevo sognato ed inseguito sin da bambino, tutto ciò che mi ero guadagnato sul campo: partecipare ad una Olimpiade. Il mio presidente federale, infatti, mi comunica incredulo che sono risultato positivo ad un controllo antidoping effettuato durante i campionati europei disputati solo qualche settimana prima. E addio Olimpiade …

Parlaci della gara “incriminata”.

Era un campionato europeo dove io, oltre ad essere già qualificato per Pechino, arrivavo anche da numero uno della classifica mondiale, e anche se non avessi partecipato sarei rimasto comunque primo nel ranking perché avevo un notevole margine di punti sul secondo, il che significava molto in vista di quella che sarebbe stata poi la composizione del tabellone del torneo olimpico. Potevo veramente non andare, ma chiaramente l’europeo è uno degli eventi principali dell’anno, rappresenti il tuo Paese e quindi alla fine ho partecipato.

La sostanza riscontrata, il furosemide, è un diuretico che non migliora le prestazioni ma è inserito tra le sostanze dopanti in quanto potrebbe coprire altri prodotti vietati.

Guarda, intanto è giusto dire che nella scherma non c’è doping. I pochi precedenti che ci sono stati nel nostro sport sono avvenuti più per disattenzioni che non con l’obiettivo di migliorare la prestazione. Anche perché nell’elenco delle sostanze dopanti ci sono tantissimi farmaci di uso comune ed è chiaro che se non si presta la massima attenzione si rischia ogni tanto di incorrere in qualche stupidaggine.

Infatti tutti, soprattutto nel tuo ambiente, capiscono subito che qualcosa non torna. Perché mai un atleta del tuo talento, a qualificazione olimpica già raggiunta, avrebbe assunto volontariamente un farmaco inserito nella lista di quelli “proibiti” e per giunta lo avrebbe fatto in una gara che costituiva poco più di una tappa di passaggio verso i Giochi?

In effetti tutto il mondo della scherma è stato subito solidale con me anche perché tanti dati rendevano la cosa troppo stupida perché io potessi davvero averla fatta. E poi questo diuretico è stato riscontrato in una quantità esagerata, come se io lo avessi preso proprio nelle due ore a ridosso del controllo antidoping che già sapevo che avrei fatto: una cosa davvero illogica! Tra l’altro, proprio perché l’avrei preso a ridosso del controllo, il diuretico non avrebbe fatto in tempo a cancellare nessuna altra sostanza proibita e quindi nel campione analizzato avrebbero dovuto trovare anche qualcosa d’altro. Invece non c’era niente.

Alcuni organi di stampa in quei giorni furono piuttosto pesanti con te. Cosa hai provato in quel momento?


Già l’idea di rischiare di perdere una cosa che mi ero conquistato in tutti gli anni precedenti mi sconvolgeva abbastanza, non ti nego che lì per lì mi sono messo anche a piangere. Però pensavo che in qualche modo il tutto si sarebbe risolto. Invece, oltre a non fare l’Olimpiade ho dovuto anche combattere con l’infamia del doping! Vedere giornali e telegiornali che aprono con questa notizia, sentirti definito come un “traditore della patria” sapendo che non hai fatto niente: sono stati momenti davvero difficili.

Tu ti sei proclamato sin da subito innocente e successivamente hai effettuato una denuncia contro ignoti alla Procura della Repubblica ipotizzando un sabotaggio della bottiglia d’acqua da cui hai bevuto durante quella gara. Di li a poco, come avevi già programmato, ti sei trasferito in Francia, a Parigi. Come hai vissuto quel periodo in attesa della sentenza? Non deve essere stato facile allenarsi mentre si era sospesi dalle competizioni.

Dal punto di vista sportivo chi doveva giudicare era la federazione internazionale di scherma. Solitamente in casi come questi si applica una sospensione di due anni e quando siamo stati convocati in federazione avevamo molta paura che applicassero per intero questa sanzione perché era veramente difficile dimostrare la mia innocenza. Però i dati farmacologici che avevamo portato, il fatto che avevamo fatto una denuncia contro ignoti alla Procura e che quindi erano partite delle indagini della giustizia ordinaria, li ha indotti in via del tutto eccezionale a sospendere il giudizio in attesa dell’esito delle indagini giudiziarie. Io intanto cercavo di trovare la voglia di allenarmi, ma ero pieno di rabbia e avevo un rigetto verso tutto il mondo del mio sport che pensavo fosse più pulito! In più non sapevo cosa aspettarmi dalle indagini. Tirando le somme, diciamo che in quei momenti la fiducia dell’ambiente mi ha aiutato tanto. Se oltre a perdere ingiustamente l’Olimpiade si fosse aggiunto anche il fatto di non essere creduto dalle persone che appartenevano al mio mondo sarebbe stato veramente tutto molto più difficile.

10 aprile 2009. Diversamente da quanto avviene nella maggior parte dei casi di doping la tua innocenza viene “sufficientemente provata” e sei condannato a 6 mesi di sospensione solo per “negligenza”. Spiegaci meglio e raccontaci soprattutto le tue emozioni di quel momento.

Le indagini del CONI furono subito archiviate. Le indagini della Procura italiana hanno invece stabilito che il sabotaggio effettivamente c’è stato. Certo non ci sono elementi per individuare precisamente il colpevole, ma nelle motivazioni della sentenza sono state espresse anche una serie di ipotesi plausibili su chi potrebbe aver avuto interesse ad inserire il diuretico nella bottiglia d’acqua da cui ho bevuto in quel campionato europeo (tra queste quella di un atleta di altra nazionalità che mirasse ad escludere uno dei principali candidati alla conquista della medaglia d’oro olimpica o quella di un compagno di squadra che avrebbe potuto prendere il suo posto a Pechino, ndr). Chi mi doveva giudicare a livello sportivo lo sapeva benissimo sin dall’inizio che questa storia non stava in piedi, ma a quel punto la federazione internazionale, visto che c’è un comma del regolamento che parla di negligenza (ogni atleta è responsabile di ciò che assume, ndr), ha deciso di sospendermi ugualmente, anche se per “soli” sei mesi, perché altrimenti mi avrebbero anche dovuto risarcire del danno subito per la mancata partecipazione olimpica, senza tralasciare il fatto che si sarebbe creato un “pericoloso” precedente. I sei mesi erano “retroattivi” e quindi sono potuto tornare subito alle gare.

In poco tempo arrivano prima le due medaglie d’oro nella prova individuale ed in quella a squadre agli Europei di Plovdiv, poi il bis ai mondiali di Antalya, risultati aldilà di ogni più rosea aspettativa. In particolare in occasione dei mondiali è stato dato molto risalto alla tua scelta di presentarti sul podio con una bandiera italiana con sopra scritte le parole di una canzone di Bob Dylan dedicata ad Hurricane, il pugile che fu condannato ingiustamente per triplice omicidio e poi scagionato dopo circa 20 anni quando fu trovato il vero colpevole. Perché quella scelta?

L’innocenza l’ho sempre gridata, poi volevo anche dimostrare qualcosa in pedana. Sai, solitamente ogni atleta che viene trovato positivo si dichiara innocente, e quindi, anche se innocente lo sei davvero, è difficile levare dalla testa delle persone il dubbio che tu abbia effettivamente “barato”. L’idea della frase sulla bandiera mi è venuta vedendo il bellissimo film dedicato a questo pugile. Così, qualche giorno prima della partenza per la Turchia, ho deciso di scriverla sul tricolore, l’ho messo in sacca sperando che poi le cose fossero andate in un certo modo. Non era certo un voler mettersi a paragone con una storia a tinte molto più forti della mia, ma era comunque una provocazione per non fare dimenticare quello che avevo vissuto in quei mesi.

Come hai fatto a ritrovare subito gli stimoli per raggiungere questi risultati?

Sono rientrato a testa alta, cercando di prendere quelli che possono essere i lati positivi anche di una brutta storia come questa. E ti assicuro che nonostante tutto ci sono. Per esempio l’impegno profuso per dimostrare la verità mi ha portato a stare molto vicino a mio padre, alla mia famiglia, e con loro si è creato un legame ancora più forte di prima. E’ chiaro però che quello che è successo è una cosa chi mi rimarrà dentro per sempre, che mi ha cambiato come persona. E probabilmente i risultati dello scorso anno sono frutto proprio di questo cambiamento che si riflette anche in pedana dove ora sono più freddo, più lucido, perché per quanto possa essere concentrato per cercare di vincere una gara, ho capito che alla fine la vita è anche tante altre cose.

Per finire, Andrea, cosa immagini per il tuo futuro dopo le gare?

Nell’attualità tra gli allenamenti e le gare in giro per il mondo sono spesso fuori casa. In passato avevo provato ad iscrivermi all’Università, poi con le qualificazioni olimpiche è stato difficile conciliare tutte e due le cose. Ma lo studio rimane un capitolo aperto della mia vita, anche perché nel mio sport non ci sono certo le entrate economiche del calcio.

Ora Andrea è pronto per una nuova stagione che avrà il suo culmine nel campionato del mondo che si disputerà in novembre a Parigi.
Il suo principale obiettivo rimane però ovviamente quello di partecipare alle Olimpiadi di Londra 2012. Il sogno inseguito sin da bambino, che questa volta si spera niente e nessuno gli impedirà di realizzare.

Marco Catapano