3 domande a Michael Walchhofer

WalchhoferLo sci è uno sport individuale, ma allo stesso tempo un atleta interagisce con tante altre persone presenti all’interno di una squadra. Che importanza ha il gruppo al fine di ottenere la performance migliore in pista?

Lo sci è uno sport speciale. Uno sciatore, si allena sempre insieme ad un gruppo di persone,  ad una squadra, per preparare una intera stagione. Allo stesso tempo però, negli istanti prima di una gara, ti ritrovi da solo e lì tutto dipende da te stesso. Lo sci è uno sport individuale e di squadra. Così quando ho raggiunto il successo è stato molto importante per me condividere la gioia con gli altri.

Nella tua carriera, sei sempre stato un modello di onestà e fair play. Al termine della stagione 2010-2011, dopo aver perso la Coppa del Mondo per soli dodici punti, sei andato subito  a congratularti con il tuo diretto avversario, lo svizzero Didier Cuches. Qual è il tuo segreto per vivere lo sport seguendo questa via?

La cosa fondamentale per essere corretti ed onesti con gli avversari, per essere poi un modello positivo per gli altri, è nutrire sempre un grande rispetto per chi gareggia con te. Questo aiuta a
sentirsi liberi. Così, quando magari il successo non arriva, si avverte la spinta giusta per fare un gesto di fair play. Questo atteggiamento sta alla base dello sport, ma non vuol dire che un atleta non senta la rabbia o la delusione dentro di sé. Fa parte del gioco…

Oggi nel mondo dello sport, il business, il risultato a tutti i costi, l’agonismo, sembra dominare la scena. Lo sport però è dotato di un potenziale enorme. Ad esempio è un’occasione per educare i ragazzi al rispetto, all’amicizia. Cosa si può fare concretamente per realizzare questi obbiettivi?

Per me, anche una volta raggiunti i massimi risultati nella mia disciplina, è stato sempre importantissimo ricordare perché io facevo quel determinato sport. E il mio pensiero era: “Quando scio sento la gioia”. Bisogna ricordarsi sempre perché si pratica uno sport. Certo, è bello essere veloci e vincenti, ma ai giovani attraverso le società sportive, bisogna offrire un avviamento allo sport più ampio, che non si limiti ad insegnare una semplice tecnica sportiva. Solo così può rimanere dentro la gioia e la passione. Tante volte i genitori sono i primi che vogliono fare del proprio ragazzo un campione del mondo e così la gioia passa in secondo piano.