Relazione di Bart Van Reusel

Bart Van Reusel

Docente di sociologia dello sport all’Università Cattolica di Lovanio, in Belgio, è membro della associazione mondiale dei sociologi dello sport

Sport e competizione: lo sguardo del sociologo

Cosa si intende oggi per competizione? Oggi i giochi dei ragazzi in tutto il mondo tendono a essere dominati da elementi competitivi: è quanto hanno osservato gli antropologi che studiano i giochi che hanno notato come gli elementi di competizione sono oggigiorno davvero presenti in tutti i tipi di giochi per bambini.

La dimensione competitiva è naturale? È acquisita? È in qualche modo legata ad esperienze del mondo fuori di noi? Oggi, solo per fare un esempio, anche gli sport ricreativi, chiamati in tutto il mondo sport per tutti, sono estremamente caratterizzati da elementi competitivi.

Nell’Unione Europea abbiamo circa 70.000 club sportivi, una cosa fantastica, un autentico movimento sociale che non ha eguali da tanti punti di vista. Ebbene questi 70.000 club sportivi nell’Unione Europea sono in gran parte impegnati, in un modo o nell’altro, in un impegno di carattere competitivo di livello più o meno grande. Oggi stanno emergendo sempre nuovi sport, che riguardano soprattutto i giovani, ed ogni giorno essi ne inventano di nuovi, pensate ad esempio agli sport di strada.

Molte di queste attività riportano elementi di competizione. Anche le attività di danza, come la break-dance e simili, hanno elementi di competizione. Ovunque troviamo oggi elementi di competizione.

Qualcuno potrebbe pensare che quando si tratta di fitness e salute, di ginnastica aerobica o di altri tipi di fitness, là non vi sia competizione. Invece c’è! E’ sorprendente quanto tempo e quanta attenzione sia dedicata oggigiorno agli elementi di competizione nelle attività di fitness e salute.

È tutto legato a quella che chiamiamo la cultura del miglioramento: essere migliori, apparire migliori, avere una salute migliore. Possiamo quindi parlare di aspetti competitivi legati persino alla salute: ogni chilometro che corriamo, acquistiamo più in salute. E’ un nuovo punto di vista del settore del fitness e della salute. In questo modo la cultura del miglioramento è insita anche nella bellezza e nell’apparenza fisica con aspetti competitivi nel settore del fitness e della salute.

Certamente al centro dell’attenzione dei media di tutto il mondo ci sono i grandi eventi sportivi: essi sono organizzati da organismi planetari multinazionali, da organizzazioni sportive e da aziende private ed anche loro competono, in questo caso per conquistare il maggior numero di  consumatori al mondo. Tenete presente questo aspetto quando osservate gli eventi sportivi mondiali: la competizione entra in questa grossa fetta dell’industria dell’intrattenimento rappresentata dagli spettacoli sportivi.

Possiamo affermare che quella prevalente oggi è la cultura del successo, un modo di vedere le cose che immette sempre nuovi elementi di competizione nella nostra cultura del corpo. Siamo stati, come cultura sportiva, estremamente creativi nel produrre sempre nuove forme di elementi competitivi tra le persone, tra le nazioni, tra le organizzazioni, tra le squadre, etc.

Sulla base di queste considerazioni potremmo dunque affermare che esista una sorta di approccio naturale alla competizione nell’esperienza sportiva, ovvero che la competizione faccia parte della struttura stessa degli sport. Bene: io penso che non sia così. Perché quando si guarda da una prospettiva sociale agli elementi di competizione nello sport e si osserva a come la competizione è oggi compresa ed interpretata nello sport, si vede chiaramente una prospettiva a due facce che cercherò di illustrarvi.

Da una parte, la nostra cultura crea l’idealizzazione, l’immagine idealizzata della competizione, con la glorificazione della vittoria come espressione alta dell’umanità e noi conosciamo questo tipo di retorica attraverso molti, molti, esempi. L’idea di fondo è che lo sport produce effetti positivi sugli esseri umani, questa è un’idea base. In base a questa idea, noi celebriamo gli eroi, costruiamo una vasta industria attorno a questo, supportati dai media. Questa è la prospettiva idealizzata della competizione.

Dall’altra parte, c’è quello che chiamerei l’aspetto degradante della competizione legato alla cultura odierna del fisico: direi che lo sport competitivo può manifestare efficacemente il lato più buio dell’umanità. Penso alla corruzione, alla violenza, all’uso di sostanze, alle esclusioni, alla discriminazione, etc… E questi sono aspetti negativi legati alla competizione.

Questa situazione suscita ambiguità rispetto alla competizione. E credo che meeting come questi, con Sportmeet, siano cruciali, siano molto importanti per porci delle domande e trovare l’equilibrio tra questi due estremi.

Ci dovrebbe essere una sorta di posizione intermedia, anzi forse più di una posizione, tra la versione idealizzata della competizione e la versione degradata della competizione. E penso che sia questo che dovremmo fare nella nostra società oggi. Noi dobbiamo riflettere, vedere cosa è umano, cosa è buono, cosa non è accettabile, cosa è un valore della competizione nella società.

Se analizziamo la competizione sportiva dal punto di vista pedagogico, se guardiamo al ruolo della competizione nel contesto dell’educazione, anche qui c’è più di una prospettiva riguardo agli elementi competitivi nello sport.

Che ruolo pedagogico ha la dimensione del gioco nella competizione umana? Ancora una volta la prospettiva è duplice: da una parte lo sport competitivo, considerato come ambiente sociale di apprendimento, può creare opportunità, può sviluppare socialità, può creare ambienti migliori per persone e bambini di tutto il mondo, in cui crescere insieme, imparare qualcosa, imparare a conoscere sé stessi, gli adulti, il mondo. Dall’altra parte, la competizione, dal punto di vista pedagogico è considerata o dovrebbe essere considerata come una questione potenzialmente negativa con tutti i problemi legati all’ eccesso, alla esagerazione, all’esclusione, con tutte le conseguenze negative. Ancora una volta dobbiamo trovare un equilibrio: non dobbiamo idealizzare gli aspetti positivi della competizione, perché questi non si producono in automatico ed allo stesso tempo non dobbiamo criticare gli sport competitivi solo per gli aspetti negativi che possono suscitare. Dobbiamo cercare questo equilibrio. Questo è il mio messaggio: noi dobbiamo contribuire a creare questo equilibrio nello sport! Ma dobbiamo riflettere e pensare e lavorare per tradurre in pratica questo obiettivo.

Vorrei fare un piccolo esperimento con voi, che chiamerei l’esperimento Maradona. Vi chiedo di prendere dalla vostra cartella i due cartellini, verde e  rosso, di cui disponete. L’esperimento riguarda l’interpretazione che diamo alla competizione: essa può essere interpretata e capita in modi diversi. Molti di voi ricordano il famoso goal di mano di Maradona, il goal fatto “con la mano di Dio”. Queste immagini verranno ricordate per sempre nella storia dello sport. Cosa successe? Maradona segnò, ma le telecamere, gli occhi del mondo videro cosa successe realmente e cioè che Maradona segnò il goal con la mano; l’unico che non lo vide fu la persona che prende decisioni in campo, l’arbitro. Il calcio non è un test per gli occhi dell’arbitro. Il calcio è uno sport dove le persone accettano le decisioni dell’arbitro. Proviamo ad osservare questo episodio da lontano, da una prospettiva di competizione: ora vi chiedo “cosa avrebbe dovuto fare Maradona?” Far finta di niente ed esultare? Potreste dire che è parte del gioco e che a quel livello, dobbiamo accettare queste cose. Oppure potreste pensare che Maradona sarebbe dovuto andare dall’arbitro e confessare. Il calcio è un gioco leale, così è stato inventato dagli inglesi, un gioco leale vincolato da regole. Qual è il vostro pensiero? Se pensate che il goal era giusto per la squadra di Maradona, alzate il cartellino verde. Se pensate di no, che il goal non era regolare, alzate il cartellino rosso. Sembra che il risultato sia 50% e 50%. E questo è esattamente il risultato che mi aspettavo: la competizione non è intesa in un solo modo. Esiste una interpretazione culturale della competizione: chi ha votato verde afferma che il goal è giusto, che fa parte del gioco, che ci sono tanti soldi in mezzo, che c’è una intera nazione coinvolta, etc… Ma c’è anche l’altra interpretazione: chi ha votato rosso afferma che il gioco del calcio ha le sue regole e fare un goal con la mano non è consentito dalle regole. Abbiamo dunque diverse interpretazioni della competizione. Abbiamo appena provato che la competizione non è un elemento così naturale nello sport, ma è soggetta ad un’interpretazione culturale delle attività sportive.

Credo che l’aspetto cruciale e forse naturale nello sport è l’elemento del gioco. E questo è il mio messaggio per voi: dobbiamo focalizzare e prestare attenzione all’elemento del gioco. L’elemento del gioco è un aspetto costitutivo degli sport. Eppure oggi giorno il gioco appare quasi ai margini, un elemento debole nell’industria planetaria degli sport competitivi.

Quando guardiamo agli sport più diffusi negli ultimi anni, vedo tanta competizione, ma in molti casi  non troviamo l’elemento del gioco. Difficilmente troviamo l’elemento del gioco nel calcio, dove spesso vediamo una competizione estrema e  solo in parte un’esperienza gioiosa.

Credo che per contribuire a dare un futuro umano alla cultura dello sport, dobbiamo costantemente cercare nuovi approcci alla competizione. La competizione non è un aspetto naturale. E’ un aspetto culturale, da modellare, variabile.

Vi dò alcuni esempi, attuali, per farvi capire come gli elementi competitivi nello sport possono avere differenti punti di vista e possono essere mostrati in modi differenti.

Un primo esempio: oggi abbiamo già più di 1.000 organizzazioni non governative in tutto il mondo impegnate a creare attività sportive nei Paesi in via di sviluppo, sostanzialmente lavorando per bambini, giovani, adulti, che non hanno accesso allo sport, non hanno accesso ad attività sportive, a volte nessun accesso al gioco. Riuscite ad immaginare cosa succede quando un bimbo non può accedere a nessuna attività di gioco? Questo è un dramma.

Un secondo esempio: da anni esiste chi organizza competizioni sportive per persone senza fissa dimora di molte città, paesi e nazioni. In Belgio abbiamo un torneo nazionale per persone senza fissa dimora, supportate da regolari squadre di calcio. Credo sia un modo abbastanza nuovo di pensare alla competizione e di offrire gli elementi competitivi dello sport come un valore sociale per la società.

Fra poche si svolgerà il Campionato del mondo di calcio in Brasile. Vorrei portare la vostra attenzione alla Coppa alternativa, che verrà giocata in una delle favelas in Brasile, vicino allo stadio Maracanà. Il campionato “Favela football for hope” attirerà, speriamo, l’attenzione del mondo. E’ un altro modo di mostrare come si può vivere la competizione dando un contributo alla crescita della società.

In Sud Africa abbiamo visto nascere diversi “Football Centres of Hope“, che hanno preso il via grazie alla FIFA e grazie a locali organizzazioni non governative. Questo è un altro esempio di come la competizione può tener conto degli aspetti umani e dei valori sociali.

Questi sono alcuni esempi. Ciascuno di voi può contribuire con altri esempi e le iniziative possono crescere molto velocemente e necessitano del nostro supporto.

Concluderei sottolineando due aspetti che aprono ad un futuro diverso:

1) mettere a punto positive metodologie sportive sempre più efficaci dal punto di vista pedagogico

2) sottolineare il ruolo che possono e devono avere le grandi organizzazioni sportive in termini di responsabilità sociale. In uno studio abbiamo valutato che il 30% delle organizzazioni sportive hanno già un bilancio sociale. Lo sport non è fatto solo di società e di atleti che fanno soldi col mercato dell’intrattenimento. Occorre affrontare la responsabilità sociale che essi hanno, perché sono oggetto di enorme attenzione da parte di tutto il mondo ed alla popolazione mondiale che ne è appassionata devono restituire qualcosa. Hanno il potere ed hanno una responsabilità sociale. Credo che questa sia la sfida per i prossimi anni per tutte le organizzazioni sportive mondiali.

Per concludere, vi darei un altro messaggio: pensate a voi stessi, pensate alla prima esperienza di competizione sportiva che avete vissuto nella vostra vita, magari da bambini. È stata stressante? E’ stata divertente? Se è stata stressante, probabilmente non c’è stato l’elemento del gioco. Se  è stata divertente, c’è stato l’elemento del gioco. Penso che l’elemento del gioco sia l’aspetto più cruciale che dobbiamo considerare quando parliamo di competizione.